Family&Kids

Cosa ha dato e tolto l’espatrio ai miei figli

Written by Federica Italia

Prima di seguire colui che sarebbe diventato mio marito all’estero, non avevo mai pensato all’espatrio. Amavo ed ancora amo l’Italia nonostante ne riconosca, forse oggi più che allora, anche i difetti. Mai avevo però pensato di andarmene.

Poi la vita mi ha fatto incontrare un uomo brillante e gran lavoratore e le occasioni non hanno tardato ad arrivare. Dalla sua vita professionale sono arrivate entrambe le occasioni di espatrio: prima la Cina e poi, dopo una pausa di 4 anni in Italia, anche la Thailandia. La prima volta accettai con entusiasmo nonostante avessi affetti solidi da cui allontanarmi ed un ottimo lavoro da lasciare. Non avevamo figli e, decidere solo per noi stessi, era assolutamente più facile. La seconda volta i figli erano due, di 1 e 5 anni, e la decisione è stata enormemente più ponderata. Mio marito però allora lavorava distante da noi e lo vedevamo solo nel weekend con tutte le difficoltà che questo comportava non avendo nemmeno i nonni vicini. Il cambio d’azienda ed i tre anni in Thailandia, ci avrebbero permesso di riunificarci come famiglia subito ed anche a lungo andare dato che la sede della nuova azienda era proprio vicino alla nostra casa nella campagna bolognese. Decidemmo quindi di partire per il desiderio di riunire la famiglia, fermo restando che per me l’esperienza cinese era stata bellissima e, se dei dubbi avevamo, riguardavano solo il bene dei bambini. Io, senza di loro, non avrei avuto alcun dubbio.

Nonostante le tante difficoltà iniziali, alcune anche piuttosto serie, anche l’esperienza in Thailandia è stata molto bella, sia per noi che per i bimbi ed, al termine, siamo tornati in Italia non senza dubbi perché, soprattutto l’esperienza scolastica, era stata per loro ed anche per me meravigliosa. Siamo comunque tornati con gioia dato che ad attenderci c’erano la famiglia, gli amici, la nostra casa e quell’Italia che consideriamo ancora il paese più bello del mondo. Poi le cose sono andate molto meno bene di quello che ci aspettavamo per il piccolo di casa e, di conseguenza, per tutti noi.

Questo lungo preambolo per dire che, da appassionata sostenitrice della vita all’estero, quest’ultimo capitolo, purtroppo ancora lontano dalla risoluzione, ha fatto vacillare molte delle mie certezze sull’espatrio e, quest’anno appena trascorso in Italia mi ha vista spesso intenta a scervellarmi nel capire se veramente queste esperienze all’estero siano un bene per i nostri figli.
Premetto che quello che scriverò è frutto del mio vissuto personale durante i nostri espatri in Asia. Caratteristiche del paese d’adozione e dei bambini stessi possono infatti portare ad esperienze molto diverse. Ogni bimbo ha il proprio temperamento e le proprie esigenze che spesso, anche nello stesso bambino, cambiano con il crescere. Quindi non si può assolutamente generalizzare.
Detto questo, a seguire le mie riflessioni su cosa ha dato e tolto l’espatrio ai miei figli.

Forse la cosa più bella che l’espatrio ha dato ai miei figli è la capacità di guardare un altro bimbo senza accorgersi se la sua pelle sia bianca, gialla o nera. Di non usare il colore della pelle per descrivermi un loro compagno. Credo sia un’eredità enorme e spero che rimanga presente in loro per tutta la vita.

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Hanno imparato, al di là della provenienza, ad essere accoglienti con tutti. Perché loro in prima persona hanno capito cosa voglia dire essere ben accolti quando arrivi in una classe dove non conosci nessuno, non capisci quello che ti dicono e sei lontano migliaia di chilometri da una bella parte delle tue certezze. Di contro, si sono sentiti feriti nel non essere a volte ben accolti in un nuovo gruppo al loro rientro in Italia. Che fosse la classe scolastica, il gruppo di catechismo o la squadra di calcio. Per loro all’estero era normale accogliere il nuovo arrivato e farlo sentire benvenuto. L’espatrio in questo li ha resi fragili, impreparati a non sentirsi ben accolti ovunque. Non pronti a trovarsi ad essere a volte presi in giro. Il fatto di frequentare una scuola quasi interamente costituita da figli di espatriati, con un uguale bisogno di affetto ed appoggio reciproco, non li ha abituati a fronteggiare dinamiche di gruppo spesso presenti fra i bimbi italiani. Per le quali tu sei o ben accetto, e quindi dentro al gruppo, oppure inesorabilmente fuori dai giochi.

Il frequentare un ambiente scolastico internazionale gli ha dato tanti amici provenienti da tutto il mondo, ma sono amici che difficilmente rimarranno perché molti torneranno ai propri paesi come noi o voleranno altrove. Con i più cari si proverà a rimanere in contatto via Skype e forse un giorno a rivederli, ma sarà sempre molto difficile.
L’espatrio ha tolto ai mie bimbi il conforto di un amico caro che si può vedere quando si vuole. Che c’è sempre e sempre ci sarà. Certo da bambini gli amici cambiano ovunque, ma perché cambiano le simpatie e certo qualcuno può trasferirsi, ma non sarà una costante smettere all’improvviso di vedersi nonostante si sia amici più che mai. Sono comunque piccoli e grandi traumi a cui costringiamo i nostri bimbi in espatrio. C’è chi reagisce meglio e chi peggio, ma non è mai purtroppo indolore.

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L’espatrio ha reso il nostro nucleo famigliare molto legato. Lontano da tutti si sta sempre molto insieme. Si impara ad appoggiarsi l’un l’altro nelle enormi difficoltà che un espatrio ti presenta inevitabilmente, sia fra noi genitori che fra genitori e figli. Senza interferenze. Di contro, e questo è un contro enorme, l’espatrio priva i nostri bambini della rete affettiva famigliare. Dell’affetto dei nonni che è un affetto insostituibile ed unico. Degli zii e dei cuginetti e di quella che è la rete affettiva dei nostri amici più cari. Per quanto si possano ricreare legami all’estero, nessuna bella amicizia potrà sostituire quello che avrebbero in patria. L’affetto, l’amore e la dedizione che hanno i nonni per i loro nipoti è un grande conforto che togliamo ai nostri bimbi. Perché con i nonni, se i rapporti fra noi ed i nostri genitori sono sani, un bimbo sente lo stesso amore incondizionato che solo un genitore o un fratello ti può dare. Spesso ancora più forte perché depurato da tante responsabilità. Mi sento di dire che è forse la privazione più grande a cui li costringiamo.

L’espatrio ha fatto vedere loro luoghi tanto diversi dai nostri. Hanno visto metropoli asiatiche moderne e sono saliti su grattacieli bellissimi. Hanno visto spiagge incontaminate e nuotato in mezzo ai pesci colorati. Hanno fatto il bagno in una cascata nella foresta tropicale e visto siti archeologici spettacolari.

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Hanno conosciuto ed utilizzato mezzi di trasporto sconosciuti come i risciò e preso tanti aerei con la stessa disinvoltura con la quale un bambino italiano sale su un autobus. Hanno vissuto l’attraversamento di una frontiera via terra tornando indietro di anni. Hanno visto con i loro occhi che cos’è la povertà. Hanno visto bimbi vivere in delle baracche senza bagno e corrente elettrica. Mi auguro che tutto ciò rimarrà nei loro ricordi e che li abbia resi più aperti mentalmente.
Di contro l’espatrio gli ha tolto il conforto di un nido, una casa che crescesse con loro. Dove fossero presenti tutti i loro giochi e non solo quei pochi selezionati per espatriare con noi. Con le loro foto ricordo e gli oggetti che parlano della loro storia e della nostra di genitori. Li ha costretti a lasciare tanto in una casa che si rivede poche volte all’anno. Gli ha tolto la sicurezza di sapere riconoscere le strade, i negozi e tutti i loro punti di riferimento. Certo li hanno ritrovati anche nella nuova destinazione, ma ogni volta anche per loro, come per noi, è stata una gran fatica ricostruire i loro percorsi, il loro ambiente ed il senso di calore che dà una casa.

Lo stare immersi in una civiltà molto diversa dalla nostra gli ha fatto conoscere altre culture e capire che non c’è solo la nostra. E che c’è spazio per ogni credo. Nella loro scuola si festeggiavano le ricorrenze religiose buddhiste così come il Natale. E tutti partecipavano con gioia indipendentemente dal proprio credo.

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Di contro sono cresciuti meno calati nel contesto cattolico che è la nostra religione. Perché in Asia è abbastanza difficile avere un ambiente cattolico da frequentare ed anche per colpa di noi genitori che, all’estero eravamo quasi più affascinati nel conoscere le pratiche buddhiste che impegnati nel parlare loro della nostra religione. Non sono cresciuti in una comunità di appartenenza.

Detto tutto ciò credo che con l’espatrio chiediamo tanto ai nostri bambini e questo non può non lasciare un segno nel loro essere adulti di domani. Gli diamo sicuramente anche tante opportunità che in patria non avrebbero avuto anche se questo ritengo che sia molto legato al tipo di destinazione ed al tenore di vita che si può tenere all’estero. Quando si decide di espatriare non si può non tenere conto dei sacrifici che chiediamo loro e credo che dall’altra parte ci debba essere qualcosa per cui valga veramente la pena partire e basi già un po’ solide come un buon contratto che dia certe garanzie. Partire all’avventura può andare bene per un single o una coppia, ma con dei figli può essere davvero da incoscienti.

Se devo dare una conclusione al mio tanto pensare ritengo forse che la giusta soluzione in espatrio sia di scegliere, ovviamente potendo, una nazione in cui pensiamo di poter rimanere a vivere e ricostruire una vita. Credo che l’espatrio itinerante, tre anni da una parte e tre da un’altra, sia per i figli la soluzione più difficile.

Federica, Italia

 

 

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Federica Italia

6 anni vissuti fra Cina e Thailandia. Un figlio nato a Shanghai e uno in Italia. Con 11 traslochi all'attivo mi sembra di aver vissuto più vite. Guardo il mondo con occhi curiosi, di solito dietro all’obiettivo della mia Canon. Adoro leggere e scrivere sui miei blog: Mamma in Oriente sulla Thailandia e My Travel Planner, il mio nuovo progetto dedicato ai viaggi!

10 Comments

  • Ciao Federica! Ho letto molto attentamente il tuo post perché credo che il benessere dei figli durante e dopo un espatrio sia la preoccupazione maggiore. Hai ragione quando dici che non si può generalizzare, ma tante situazioni di cui hai parlato le ho trovate profondamente vere. I punti di riferimento si perdono completamente e occorre tempo e calma per far loro acquisire un nuovo equilibrio, come del resto capita a noi. La lontananza dagli affetti veri ritengo sia l’ostacolo più grande da superare: per noi meno traumatico perché avevamo comunque tutti i familiari lontani anche in Italia e dovevamo cavarcela da soli. Il trauma di nostro figlio di non essere accettato a scuola e nella squadra di calcio non è stato ancora superato, pur vivendo in Germania da quasi 3 mesi; sentirsi e venire trattati come diversi, perché stranieri o nuovi, alza barriere ovunque. Speriamo che da queste difficoltà iniziali possa trarre molti insegnamenti sulla solidarietà e la tolleranza e, in futuro, ricordare i sacrifici fatti e le difficoltà come dei gradini faticosi da salire, ma indispensabili per diventare una persona migliore.

    • Ciao Barbara e grazie per averci raccontato la tua esperienza perché, come dici tu, è un argomento che a noi tutte sta molto a cuore.
      Dalla mia esperienza ti posso dire che 3 mesi in ambienti particolarmente ostici, sono ancora pochi. Per esempio per mio figlio grande non sono stati pochi, ma sufficienti, per sentirsi inserito e accolto in Thailandia. Ma viveva la realtà di una scuola internazionale ad alto tasso expat dove i bimbi sono abituati ad accogliere mensilmente bimbi nuovi. Ti dico che invece in Italia un anno non è stato sufficiente per non sentirsi un po’ sempre l’intruso nella squadra di calcio. A scuola le cose iniziano a migliorare ora dopo un anno. Sulla tua conclusione mi sento di dirti di sì. I miei bimbi sono estremamente aperti verso gli altri e pronti a socializzare con chiunque.
      Il consiglio che ti posso dare è di stare il più vicino possibile al tuo bimbo e cercare in ogni modo di fargli tirare fuori il suo malessere parlando. È una cosa molto importante che non si tengano sento queste sensazioni.
      Ti auguro che le cose si sistemino presto perché so che, finché non stanno bene i nostri figli, è impossibile anche per noi essere sereni.

  • Tutto dolorosamente vero.
    Sono d’accordo su quasi tutto, ma non sulle tue considerazioni finali, quelle secondo me sono dettate dai sentimenti del momento, legati al tuo piccolo. Sono certa che una volta passata la tempesta sarà diverso, vedrai tutto con occhi diversi, meno critici se così si può dire. I nostri figli, quelli che non hanno paura del diverso, quelli che anche soffrono per questa situazione, saranno quelli che in futuro potranno insegnare agli altri ad essere meno chiusi. I miei genitori l’hanno fatto con me, insegnandomi a viaggiare, io l’ho sto facendo con i miei figli. Ho sofferto quando sono stata additata come diversa e non integrata? Sì eccome, soprattutto perché l’hanno fatto persone che dovrebbero essere parte della mia famiglia, ma questo non ha fatto altro che rafforzare le mie convinzioni su quanto sia importante essere aperti e pronti al cambiamento.
    Quello che gli hai regalato sarà per sempre e vedrai che prima o poi ti ringrazierà.

    • Grazie per il tuo commento! Come premesso il mio tanto pensare in questo anno italiano è scaturito dai problemi del mio piccolo e quindi è inevitabile sentirmi influenzata da questo. Le mie considerazioni finali erano inerenti al pensarci bene prima di partire ed alla maggiore difficoltà di un espatrio itinerante rispetto ad uno unico. Sono d’accordo con quello che scrivi e lo vedo già ora che i miei figli sono più aperti al diverso degli altri. Spero che presto questo nostro epilogo così negativo sia solo un brutto ricordo! Grazie!

  • Che bella analisi completa, esaustiva sull’argomento.
    Solo una mamma che vive l’esperienza sulla propria pelle poteva scrivere una cosa del genere.
    Io che amo molto viaggiare (anche se non posso) conoscere, sapere penso, vedendo il tutto dal di fuori, che affrontare realtà nuove possa solo essere veramente formativo, anche se a volte difficile. E in un mondo come quello attuale, aiuta a crescere nella comprensione degli altri e delle altrui usanze, credenze, etc. Il che è veramente tanto.
    Ciao.

    • Grazie per questo bel commento. Per me come adulta, io non ho nessun dubbio. Vivere all’estero mia ha fatto crescere, cambiare, conoscere me stessa. Lo rifarei sempre. Spero che un domani, passato questo momento difficile, anche i miei bimbi ne vivano solo i benefici.

  • Alcuni dei problemi che citi sono più legati alla scarsa qualità della scuola in Italia. Noi siamo sempre discriminati per non essere una famiglia “normale”. Ad esempio ci sono state negate scuole perché presentavano domanda fuori dai tempi nonostante avessero posti liberi. Poi non essendo una famiglia cattolica siano stati discriminati anche in quel senso. L’insegnamento della religione cattolica a bambini di tre anni ci ha messo molto a disagio e aver scelto di non frequentarla ha creato grossi problemi, specialmente fra genitori.

    • Ma.. a me non pare che in Italia le scuole discrimino le famiglie non “normali” (che non so neppure in che senso interpretare). Anche noi, “normali” (a parte un marito all’estero tutta la settimana per lavoro, dunque in Italia solo nei fine settimana..) e italiani in Italia, abbiamo scelto di non far fare religione a nostro figlio alla scuola dell’infanzia, pur avendo addirittura io una suocera insegnante di religione nello stesso paese. Però nessuna ci ha mai detto nulla o fatto pesare nulla! E non credo neppure che la scuola in Italia sia in genere di “scarsa qualità”. Certo, non è molto internazionale come impostazione ma lo sta diventando. Poi, dipende da città a città.

  • Federica, mi sono ritrovata in pieno nel tuo post. Sono mamma di 3, decisamente in espatrio itinerante e decisamente in crisi a passare notti insonni con la stessa domanda: cosa tolgo e cosa do loro, a soppesare i pro e i contro della scelta che abbiamo fatto e continuiamo a fare da dieci anni. Ti ringrazio per questo post che ha messo nero su bianco molte riflessioni che condivido. Al mio sesto trasloco e quinto paese in dieci anni comincio ad accusare il colpo, e non solo io. Il pensiero del rientro definitivo si fa sempre più frequente ma con esso è sempre più forte anche la paura di non riuscire a reintegrarsi dopo tanto tempo in un contesto che ormai non conosciamo più e i nostri bimbi hanno vissuto quasi soltanto in vacanza. Ma si sa, avanti con la paura non si va. “Mumble mumble” riflessioni di mamme espatriate preoccupate in progress…

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